ELENA FERRANTE C’EST MOI: INTERVISTA AD ANN GOLDSTEIN
Elena Ferrante c’est moi: intervista ad Ann Goldstein
di Johnny L. Bertolio
TORONTO – La misteriosa Elena Ferrante, almeno in Nord America, ha un volto: è quello di Ann Goldstein, penna del New Yorker e traduttrice di classici italiani, tra cui appunto la Ferrante, Pier Paolo Pasolini e Primo Levi. Traduttrice di una traduttrice, se è vero, come si mormora da tempo e come ha insinuato una recente inchiesta del Sole 24 Ore, che dietro l’autrice dell’“Amica geniale” si cela Anita Raja. Ann Goldstein sarà a Toronto il 15 novembre per la presentazione dell’edizione inglese della “Frantumaglia” (Europa Editions), il volumetto in cui Elena si rivela ai lettori al di fuori di una cornice romanzesca. Il dibattito, co-presentato dall’Istituto italiano di cultura, sarà moderato da Elizabeth Renzetti, editorialista del Globe and Mail.
Miss Goldstein, come nasce il suo incontro con Elena Ferrante?
«I proprietari della casa editrice italiana e/o, Sandro e Sandra Ferri, hanno deciso nel 2004 di aprire una filiale in America: dopo l’11 settembre, pensavano che fosse importante avviare un’iniziativa su base globale. Avevano già pubblicato in Italia i primi due romanzi di Elena Ferrante, “L’amore molesto” e “I giorni dell’abbandono”, e avevano provato a venderli in America, ma senza successo. Come primo libro della neo-nata Europa Editions hanno scelto “I giorni dell’abbandono” e si sono messi alla ricerca di un traduttore. Hanno affidato in prova a circa quattro o cinque candidati il primo capitolo dei ”Giorni dell’abbandono”: e io ho “vinto”. Subito dopo aver cominciato il libro mi è venuta voglia di tradurlo».
Nei romanzi di Elena Ferrante la lingua scorre senza intoppi e le incursioni dialettali sono minime; eppure, concetti come quello di “smarginatura” non sono così semplici da tradurre: come si è comportata in questi casi?
«“Smarginatura” è una parola della tipografia che significa “togliere le marginature alle forme stampate” o “tagliare i margini delle pagine”. Non è una parola comune, neanche in italiano. Compare nel primo libro della trilogia dell’“Amica geniale”: “Il 31 dicembre del 1958 Lila ebbe il suo primo episodio di smarginatura. Il termine non è mio, lo ha sempre utilizzato lei forzando il significato comune della parola”. Ho cominciato con una traduzione letterale, “trimming the edges”, quindi “losing the edges”. Nella frase successiva, Lila precisa il significato e dice che “si dissolvevano i margini delle persone e delle cose”; ho provato con “dissolving the margins” o “dissolving the boundaries” e alla fine ho deciso che “dissolving margins” esprimeva sia il contenuto emotivo sia il senso originario della parola».
E “frantumaglia”?
«Non credo che l’autrice usi la parola “frantumaglia” nella tetralogia. Nella scena del terremoto, nella “Storia della bambina perduta”, compare il verbo “frantumare” nel suo significato più letterale (“Il terremoto – il terremoto del 23 novembre 1980 con quel suo frantumare infinito – ci entrò dentro le ossa”). Nel volume “La frantumaglia” l’autrice parla a lungo del significato, o meglio dei significati, della parola. In questo caso, abbiamo deciso di lasciare la parola in italiano, invece di cercare una parola inglese che sicuramente sarebbe stata riduttiva».
Parliamo dell’identità di Elena Ferrante: “La frantumaglia” dà vita ad una persona autoriale che, pur sfuggente, di fatto conferma la necessità che un libro abbia un creatore definito. È così oppure l’autore è davvero un semplice mediatore tanto quanto il traduttore?
«Il fatto non è tanto che un libro non ha bisogno di un creatore; piuttosto, non è necessario che il creatore sia una persona conosciuta. La Ferrante non dice di non esistere. Una persona che si chiama Elena Ferrante ha scritto i libri, certo, ma non è necessario conoscere i dettagli della sua vita o della sua persona. Avere i suoi libri è sufficiente. Dunque, noto o meno che sia, l’autore continua a essere un vero e proprio creatore».
Inutile nascondere il polverone che si è alzato le scorse settimane in seguito ad un’inchiesta giornalistica che avrebbe individuato, sulla base di informazioni strettamente personali, la “vera” Elena Ferrante: le è parsa legittima come operazione?
«L’intera operazione mi è sembrata del tutto illegittima: non ci sono scuse né giustificazioni. È stata una intrusione nella vita privata di una persona. Perché è stato fatto? Elena Ferrante non è un criminale e ha il diritto di rimanere anonima, di mantenere privata la propria identità. La vicenda mi ha turbato molto e spero che non abbia come conseguenza che la Ferrante non pubblichi più (il che è altamente probabile)».
(Our Brilliant Friend: Discussing Elena Ferrante – Hot Docs, 15 novembre, 6.30 PM, 506 Bloor Street West @ Bathurst, Toronto)
(Martedì 8 novembre 2016)